Conflitto Hamas Israele, navi sotto attacco nel mar Rosso

Per gli Houthi yemeniti gli attacchi contro navi in transito nel mar Rosso sono un’opportunità per affermarsi all’interno del mondo musulmano come avversari di Israele. La coalizione a guida statunitense contro questi attacchi aumenta però il rischio che il conflitto di Gaza si estenda ulteriormente.
Una nave attraversa il Canale di Suez verso il Mar Rosso a Ismailia, Egitto. Foto Ansa, EPA/MOHAMED HOSSAM.

Dopo il feroce attacco di Hamas del 7 ottobre e la durissima risposta israeliana – tuttora in corso e secondo il premier Netanyahu lo sarà ancora per diversi mesi –, la dichiarazione di guerra degli Houthi yemeniti contro Israele non si era fatta attendere.

Niente di particolarmente formale: 3 missili lanciati dallo Yemen verso il sud di Israele il 20 ottobre, una decina di giorni dopo l’invasione della striscia di Gaza da parte delle Forze israeliane. Missili prontamente intercettati e abbattuti da un cacciatorpediniere statunitense che incrociava nel mar Rosso, ma sufficienti a mostrare le intenzioni di Ansar Allah (partigiani di Dio), il nome ufficiale dei miliziani yemeniti filoiraniani che controllano il nord dello Yemen, solitamente indicati come Houthi, nome che in realtà deriva da una famiglia, quella del fondatore, Husayn Al Houthi.

L’attuale leader, Abdel Malek Al Houthi, è un parente (il fratellastro), come suggerisce il nome, del fondatore, morto in combattimento nel 2004. Il movimento fondato da Husayn Al Houthi nasce di fatto nel 2002 (poco dopo l’attacco di Al Qaeda dell’11 settembre 2001 negli Usa) e assume il nome di Ansar Allah nel 2011, al tempo delle Primavere arabe. Lo slogan principale degli sciiti zayditi di Ansar Allah la dice lunga sul loro programma: “Allah è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria all’Islam”.

Oltre a missili e droni lanciati un po’ a casaccio verso la città israeliana di Eilat (2mila km a nord dello Yemen), partendo dal porto yemenita di Hodeidah o da basi che si affacciano sullo stretto di Bab el-Mandeb (ci sono solo 30-40 Km di mare fra la punta yemenita della penisola arabica e la costa africana di Gibuti), è facile controllare l’ingresso e l’uscita del mar Rosso. Così, con piccoli barchini e missili a breve gittata si possono attaccare, o almeno minacciare, tutte le rotte navali dall’oceano Indiano al mar Rosso e viceversa, vale a dire il porto israeliano di Eilat, ma anche il traffico da e per il Canale di Suez, cioè il 12% del commercio mondiale, in particolare quasi metà dei trasporti navali di petrolio fra Asia ed Europa.

L’escalation degli attacchi in mare, dichiaratamente attuati per solidarietà con i palestinesi di Gaza e per costringere Israele a fornire aiuti umanitari alla popolazione della Striscia, è iniziata con droni e missili contro navi di passaggio legate in qualche modo a Israele (per bandiera, carico o proprietà), ma è ben presto diventata globale. Il capo degli Houthi ha dichiarato all’inizio che il blocco intendeva colpire solo il trasporto marittimo “sionista”, ma ha poi aggiunto che gli Usa sono “complici degli orribili crimini che accadono in Palestina”. E che “alcuni Paesi europei come Francia, Germania e Italia hanno una nera storia coloniale” alle spalle, e da loro “non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese”.

La minaccia unita a diversi attacchi effettivi ha convinto diverse compagnie di trasporti via mare, comprese le due maggiori a livello mondiale, Maersk e Msc, a non rischiare navi e carichi, preferendo la più lunga e costosa circumnavigazione dell’Africa. Con inevitabili effetti di aumento dei prezzi di trasporto delle merci. Per dare un’idea del problema, in un mese (da metà novembre a metà dicembre) ci sono stati nella zona 37 attacchi a navi cargo e delle circa 50 navi che prima passavano ogni giorno da Suez ben 32 hanno cambiato rotta, affrontando il periplo dell’Africa.

Da qui l’iniziativa statunitense di promuovere una coalizione per proteggere il traffico marittimo internazionale del mar Rosso. L’operazione, iniziata il 26 dicembre, si chiama Prosperity Guardian e vede l’adesione ufficiale, oltre agli Usa, di altri 8 Paesi: Regno Unito, Bahrein, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seichelles e Spagna. Qualche bocca larga dice che le nazioni aderenti sarebbero in realtà 19, ma diversi Paesi arabi che appoggiano l’iniziativa non vogliono apparire per evidenti motivi politici e di immagine. Anche per i Paesi che aderiscono formalmente la partecipazione non è del tutto chiara. Per l’Italia è comunque presente la fregata Virginio Fasan, con 200 uomini di equipaggio.

Martedì 26 dicembre due elicotteri statunitensi decollati dalla portaerei Eisenhower e dal cacciatorpediniere Gravely hanno colpito e affondato tre barchini che stavano attaccando la Maersk Hanzghou, una nave da trasporto battente bandiera di Singapore. Un quarto barchino è riuscito a dileguarsi. È la prima risposta diretta statunitense contro un attacco partito da un’area controllata dagli Houthi. E come si sa alle spalle degli Houthi (come di Hezbollah e della Jihad islamica, ma anche di Hamas) c’è l’Iran.

L’allargamento del conflitto di Gaza è dunque già in atto e coinvolge sempre più Paesi. La guerra è iniziata con l’attacco di Hamas (missili, massacri e ostaggi), sta proseguendo senza tregua con la vendetta israeliana a Gaza e in Cisgiordania, di fatto si sta estendendo sempre di più al Libano e al mar Rosso. E diventa ogni giorno più arduo contenere, se non fermare, questa pericolosissima escalation.

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